Nella voce del silenzio i più profondi sentimenti...
gouche e collage, carta
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Il ponte di Calatrava a Reggio Emilia
acrilico, tewmpera e olio, tela
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Alfredo Gianolio
“Catarsi di un’Evoluzione nell’arte di Agata Moretti”
Successivamente al raggiungimento di un alto livello di cultura artistica, acquisito all’Accademia di Belle Arti di Bologna, Agata Moretti non si proiettò subito in avanti per spaziare nell’ambito di una libera visualità segnica e coloristica. Inizialmente fu indotta a una riflessione che la portò agli albori dell’espressione artistica, quella dell’incisione, a quell’intaglio rupestre che fece la primitiva apparizione in epoca preistorica, e svolse poi, sino al secolo XIX, il compito di riprodurre opere pittoriche originali, pur possedendo, come osservò Eugène Delacroix, “una lingua sua, che segue le opere con un’impronta tipica e lascia che si manifesti la sua sensibilità particolare”.
La Moretti è andata ben oltre questa iniziale funzione dell’arte incisoria, operando un deciso stacco con il passato per conferirle un carattere che coglie in pieno la sensibilità del nostro tempo, pur nell’utilizzo di antiche tecniche. In proposito ha rilevato Nadia Vecchi, nel catalogo “Spazio libero 1999”,per la rassegna collettiva a cura di Stefano Gualdi e Alessandra Vaccari (Archivio Giovani Artisti) che la tecnica dell’incisione in lei: “esprime bene l’inquieta ricerca per il sostanziale, il primitivo: opere che sembrano richiamare i graffiti preistorici o l’espressività infantile. Opere di forte impatto emotivo per i richiami ai sogni primordiali […] per trascendere, attraverso la fantasia il visibile e leggere altre realtà, per coglierne intuitivamente il valore universale, vedendo al di là delle forme”. La Moretti si discosta anche, mantenendo una sua personalissima cifra, dalla tendenza dell’incisore concittadino Alberto Manfredi, dedito all’attività interpretativa dei testi letterari, il quale fece risalire alla Francia il gusto per il libro figurato d’autore, arricchito con tecniche originali (Luigi Cavallo, Passigli, Firenze, 1991). Non vi è nemmeno traccia, nell’attività incisoria della Moretti, anche per motivi generazionali, di quell’ampio e profondo influsso stilistico morandiano, che fece tanto presa negli ambiti pittorici del territorio emiliano, e in particolare nella sua città, ove si contrapponeva alla corrente di impronta neorealistica e sociale. E questo non per stabilire delle graduatorie e delle gerarchie, ma soltanto per rilevare come la Moretti presti quasi esclusivamente ascolto alla voce proveniente dalla sua interiorità, espressione della sua nativa sensibilità, senza tuttavia estraniarsi dalla modernità, ma fornendo ad essa un personale e problematico apporto. Potrei aggiungere che nella risposta che si potrebbe dare alla domanda: “Che cosa significa l’opera della Moretti?” viene in aiuto quanto scrisse Robert Musil sulla creazione artistica: “Non è mai un discorso totalmente razionale, ma qualcosa che si riesce ad articolare solo con difficoltà, un’emozione ineffabile, un’esperienza interiore, dove appunto racchiudere un’esperienza che non è possibile circoscrivere con parole e pensieri: Ciò che il quadro intende è il quadro stesso, è la sua ‘forma’” (Saggi e lettere, Einaudi, 1995). Il passaggio dall’attività incisoria alla pittura avverrà come fosse una crescita inevitabile, seguendo un percorso rispondente, prima ancora che alla logica e alla razionalità, alle pulsioni irrefrenabili del sentimento. La Moretti si introduce nella cultura artistica del nostro tempo con progettazioni fortemente innovative, ma, per la loro forte caratterizzazione personale, la loro originalità espressiva non aggregandosi al postmodernismo oggi dilagante, con rifacimenti ad esperienze di vetero o neo-avanguardia che hanno fatto il loro tempo e che, con le loro tardive stravaganze dadaiste, ben poco dicono di nuovo. La sua creatività nulla ha da spartire con quelle operazioni così dette “concettuali”, che discendono dalle stravaganti esperienze realizzate quasi casualmente oltre un secolo fa, da Marchel Duchamp, allorché nel 1913 promosse uno scolabottiglie a dignità artistica, dando l’avvio all’avanguardia, sempre più ufficiale e accreditata nelle alte sfere della critica, dei galleristi e del mercato e che da allora imperversa e viene accettata in modo acritico dalle accademie stesse, vanificando quella contrapposizione prima sempre esistita tra innovazione e conservazione .La restrizione dell’attività artistica alla sola fase mentale, come concettualità che si arresta a questo primo stadio, è stata indebitamente ricondotta al pensiero di Leonardo Da Vinci, mutilandolo della parte conclusiva. Così ha fatto, tra gli altri, il critico salernitano Achille Bonito Oliva per fornire un supporto teorico ai suoi adepti, mentre Leonardo, pur attribuendo importanza primaria alla mente nello sviluppo della “scienza della pittura”, riteneva necessario farle seguire l’esperienza e l’operazione manuale, essendo infinite “le opere che l’occhio comanda alle mani” (Libro di pittura, I, 28) avendo il pittore “ciò ch’è nell’universo, per essenza, presenzia e immaginazione, prima nella mente e poi nelle mani” (op.cit.). La Moretti, pur essendo proiettata in avanti nel suo fare artistico, non ha mai inteso escludere l’esperienza e l’operazione manuale, ma il suo rapporto conoscitivo non ha privilegiato il mondo esterno, rivolgendolo piuttosto alla propria interiorità, intercettando le emozioni e i sentimenti provenienti dalla madre che, nel 2008, si era ammalata di Alzheimer, smarrendo la memoria ma riuscendo a comunicarle le sue silenziose sofferenze. Il linguaggio è stato percepito e accolto dalla figlia e tradotto in opere di grande formato, nelle quali il colore scandisce, anche simbolicamente, una molteplicità di sensazioni, penetrando nella profondità della coscienza. Questi “labirinti psichici” passano anche attraverso la dantesca “selva oscura” sino ad entrare nella fase dell’accettazione del male, andando oltre il lato oscuro delle cose. Ma l’esistenza della madre, pur articolandosi nelle tenebre della sua malattia, è attratta da uno spiraglio di luce e manifesta la sua forza con un sorriso, che non ha mai cessato di essere eloquente e rassicurante. Accolto dalla figlia Agata, riappare nelle ampie campiture dei suoi dipinti, nel consolidamento cromatico delle sensazioni. Un’espressione artistica che, nelle sue certezze celate nella sinuosità delle forme, ove la verità viene adombrata per poterla più a fondo penetrare, ci aiuta a meglio comprendere quanto, in un diverso contesto, Michel Foucault, ebbe a sostenere: “Solo chi vive ogni giorno l’‘intollerabilità’ può offrire testimonianze, parlare, capire, far conoscere”.
“Nella voce del silenzio i più profondi sentimenti ” questa opera ha profondamente colpito mia sorella
che ha scritto una bellissima lettera dedicata alla mamma malata di Alzheimer che così conclude:
“…..nel tuo silenzio leggo la possibilità che ci ha condotti quasi per mano incontro alla diagnosi.
Guardo il tuo sorriso, e mi convinco che non è vero che la tua mente sia compromessa, che i tuoi neuroni e le tue sinapsi siano frammentati o stiano soffrendo.
Tutto questo, nel senso che razionalmente intendiamo.
Voglio invece credere che, nell’apparente caos, ci sia la ricerca di una infinita libertà …che
Tu abbia potuto scegliere anche nella malattia…
Una libertà sciolta da ogni vincolo logico o razionale”.