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(La fotografia ritrae una delle 8 facce della caffettiera Bialetti che mi accompagna dai primi scatti a New York e non è stata manipolata)
SEMIOSIS, PENSARE IL MONDO PER IMMAGINI
Il filosofo Carlo Sini afferma: «Anche il più semplice dei ragionamenti porta dentro di sè una conoscenza del mondo [...] anche il più semplice grafo, segno, traccia, comporta una filosofia dell’universo: tutti hanno implicitamente un senso cosmico, poiché non c’è traccia che non stabilisca subito delle coordinate e non stabilisca subito una mappa, un orientamento...».
Il linguaggio scritto, tutti i segni o qualsiasi figura che possiamo ritenere significativa, sono innanzitutto immagini!
Le prime figure con cui rappresentiamo il mondo sono direttamente riferibili all’oggetto che vogliono significare, ma scritte, divenute ”grafo”, accolgono nella forma propria dello scritto tutta la concettualità che accompagna il conoscere.
L’immagine della lettera ”A”oggi, ha un puro valore concettuale e fonetico-linguistico, insieme alle altre lettere dell’alfabeto e alla grammatica può rappresentare il mondo (TUTTO), così come il disegno di una mappa rappresenta lo spazio.
Rapiti e immedesimati da queste lettere-immagini viviamo la realtà che de-scriviamo e che ci descrive. Immagini di segni che significano il mondo.
CAFFÈ PITTOGRAFICO (di Damir Zubcic)
Da cinquecento anni oramai dura la stratificazione, l’azione potente, d’una sostanza formidabile sul suolo europeo: il caffè. Un periodo dove il rito (la preparazione del caffè), si presenta come un processo di semiosi ,ovvero il processo dell’ azione dei segni che si palesano incessantemente.
L’atto termodinamico (il caffè cucinato nella caffettiera), produce i segni: segni accidentali, svincolati dall’ azione umana, impressi drammaticamente sulla lastra. L’uomo, l’animale fisiologo e simbolico è perseguitato da essi. Sono la sua gloria, il suo fardello. Una volta letti, accrescono l’enigma, l’enigma d’un caffè-pittografico ancestrale ed onnipresente.
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PHOTOGRAPHY AS PHILOSOPHICAL PRACTICE
[... Fra le macchine inventate dall’uomo, quella che imprime gli effetti della luce registrando spazio e tempo, è senz’altro la più filosofica. Inscrive e inquadra la realtà in immagini fisse.
Per noi umani già in-scritti che “vediamo” con gli effetti di una fissità concettuale un po’ magica che deriva dalla scrittura, anche il sapere sembra imprimersi.
Le problematiche della scrittura che afferma di veicolare un pensiero come contenuto, riesplodono nel fotografare già dal termine che ne descrive l’azione.
… Il sapere non si può fissare, come per una melodia, va necessariamente eseguito!
La fotografia assorbe la realtà intera come un buco nero. Immagini di vita in un semplice ritratto, di mondo in una galassia lontana. Al contrario di questa “singolarità” cosmica tuttavia, la confina in una inquadratura appiattita e statica e la restituisce in forme che non sono affatto adeguate a descriverla.
Se la parola invoca, la fotografia evoca. Rievoca le immagini del concepire. Le stesse mai uguali. …]
Occorre fare un passo indietro!
Osservare le condizioni in cui si pratica il conoscere e le circostanze di un pensare circoscritto e fotografato che pure non sono il pensare.
L’esigenza di un’arte come pratica filosofica parte necessariamente dalla fotografia
Una fotografia come pratica filosofica!