Premio Combat Prize

Justin Peyser - Premio Combat Prize

OPERA IN CONCORSO | Sezione Scultura/Installazione

 | Mashrabiya  (persiana)

Mashrabiya (persiana)
ferro (steel), ferro
104x93x14

Justin Peyser

nato/a a Boston, USA
residenza di lavoro/studio: New York, UNITEDSTATES


iscritto/a dal 27 apr 2017

http://www.justinpeyser.com


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ferro ed legno, ferro
170x167

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ferro, ferro
50x90

Descrizione Opera / Biografia


Justin Peyser, infatti, concepisce le sculture come assemblaggi di elementi metallici, stratificazioni di vie di comunicazione, compressione di messaggi, onde catturate dall’etere e rese solide. I metalli che usa sembrano liquefarsi e mantengono intatto il loro senso di duttilità. Ritagli di lastre, a forma prevalentemente di curva, si intersecano cercando di invadere il più possibile lo spazio circoscritto dell’opera. Nuove forme, saldature e bulloni si addensano o si distanziano formando marchingegni capaci di evocare una qualche remota funzionalità. L’idea che ne scaturisce è quella di trovarsi di fronte ad una recente archeologia tecnologica, epocalmente distante, ma temporalmente ancora molto vicina. Di fatto questi oggetti comunicano empatia e non distanza, calore umano e non formalismo astratto. Si tratta di un’arte che si potrebbe definire “residuale”, ma che, invece che alla sottrazione, tende alla moltiplicazione e all’accumulo. Quella che appare è la mappatura di una hyperconnectivity che si materializza attraverso elementi di risulta immersi nel sistema della geometria frattale. I diversi assemblaggi danno vita alla sovrapposizione di sistemi di connettività e rivelano un pensiero che si sviluppa tracciando uno schema a rizoma. Effettivamente i suoi lavori parlano un linguaggio arcaico e insieme contemporaneo. I megafoni e gli altoparlanti inseriti nei grovigli metallici di alcune opere, come “Mashrabiya”, evidenziano tautologicamente il concetto di “messaggio” contenuto in ciascuna opera. Ma si tratta sempre dell’evocazione di un enunciato potenziale e comunque esclusivamente orale. E’ solo un simbolo che stimola la memoria emotiva dell’infanzia, o del passato, attraverso oggetti comuni diventati già archeologia. Come se si trattasse di un’eco solidificata di ciò che è stato ascoltato e visto attraverso protesi tecnologiche, televisione, radio, stereo e computer rudimentali. Ciò che diventa forma si ispira a qualcosa che non ha mai avuto forma concreta, perché riguarda un insieme di relazioni, di trasmissioni, e di percorsi spazio- temporali.
Justin Peyser è nato e cresciuto nel New Jersey e all’età di 22 anni si è trasferito a New York. Si è laureato ad Harvard nel 1986, presso il Department of Visual and Environmental Studies e negli anni ’91-‘92 ha frequentato l’Accademia di Belle Arti di Bologna. Appartiene alla prima mediageneration americana, cioè quella cresciuta negli anni ’70 (in netto anticipo sull’Europa) ed erede dell’estetica delle Avanguardie basata sulla Decontestualizzazione e sull’Assemblage. Le sue sculture e le sue installazioni sono realizzate mediante l’assemblaggio e la saldatura di lamiere o di parti metalliche di oggetti di risulta. Quelli che lui rappresenta infatti sono luoghi di confluenza di territori mentali, culturali e ambientali e le sue opere sono concepite come mappe che fanno pensare a canali di comunicazione. A volte questi suoi luoghi hanno oltrepassato i confini dell’opera e si sono trasformati in interventi concreti indirizzati alla riqualificazione degli spazi urbani nell’ambito delle periferie e delle aree in disuso. Dal 1992 al 2003 ha curato per una banca etica progetti di restauro e riqualificazione delle aree neglette della città di New York come il Bronx, Brooklyn e Newark. Di fatto la sua ricerca artistica spazia dalla cultura tecnologica a quella umanistica, con particolare attenzione alla storia dei flussi migratori e alle problematiche connesse alle diaspore.