WAR è un falso. Uno scenario ricreato, una messa in scena, una denuncia nei confronti dei mass media, della loro ripetitiva ea discapito della loro veridicità e dell’informazione trasmessa. Fotografia, teatro e elaborazione digitale si fondono.
Siamo pieni di immagini, come diceva Fontcuberta “Vediamo più foto noi in una mattina, che i nostril nonni in una vita intera”.
Senza preoccuparci troppo se quello che viene pubblicato sia vero o no. Si tocca il confine tra “lecito” e “illecito”, tra realtà e rappresentazione e, più in generale, fra prodotto editoriale e artistico nel fotogiornalismo di conflitto. Un confine che, sembra essere davvero molto labile, in una società dove il terrore, la sofferenza e la morte fanno costantemente notizia. Ci stiamo dirigendo verso la “teatralizzazione del dolore” dove ciò che conta è ciò che fa notizia, ciò che colpisce il pubblico, ciò che lo sconvolge e che cattura la propria attenzione.
La realtà descritta supera la realtà stessa, enfatizzando gli aspetti negativi della società, i suoi paradossi, le sue crudeltà, favorendo la nascita di documenti distorti o di veri e propri fotomontaggi. E il pubblico ci crede.