Opera:
la vita sorprende di spalle e lascia attonita la nostra persistenza quasi monocroma, routinaria e aggrappata alle abitudini. soltanto lo sguardo può dire il nostro sussulto che si staglia, colpendo lo spettatore e cercando una corrispondenza.
le foglie invasive pervadono l’opera, schiacciando quasi la figura. le care abitudini in ordine sulla consolle e uno specchio senza alcun riflesso. rimane quello sguardo l’unica affermazione di volontà.
BIOGRAFIA:
L’immaginario di Laura Fortin (Padova, 1979) è attento alla fisicità e a una traslazione simbolica che ritroviamo nei disegni come nelle tele, dove occhi stralunati, corporature che evocano il verosimile e da bambola, pettini, formiche lasciano spazio a una fantasia rappresentata da un’esplorazione del corpo né femminista né riconducibile a una cultura maschilista.
La poetica delle cose, dei tanti oggetti che affiorano nelle opere, è sua volta intrisa di ossessioni personali e intime, che talvolta riportano al passato di Laura.
L’esperienza di un vecchio dolore familiare e lo stupore come difficile condizione interiore, praticati per scelta e quasi per religione, non avendo altre religioni a parte la vita, tutt’uno con la morte, sempre: complessa, contorta, in questo continuo ricamare e riannodare ferite o relazioni.
Ogni lavoro diventa un rebus, rigoroso e minimale. Soggetto ne sono quasi solo donne che raccontano la loro storia di outsider e questo universo femminile viene scandagliato nelle angosce, nel grottesco, nelle maschere, nella finzione, nel protagonismo infelice, nella solitudine.
Le controparti maschili sono solo profili, sagome, figure minime: la donna libera, che ha vinto se stessa perché a se stessa è sopravvissuta, è sola.
Questo è stato il percorso negli anni passati di Laura, la ricerca di un riequilibrio personale che l’ha portata a intraprendere il viaggio più emozionale e difficile: quello di trascrivere se stessa (ma non solo) nelle opere. I suoi personaggi, i suoi corpi sono corpi a pezzi interiormente e talvolta anche feriti, forse fiabeschi, corpi fantasmi, delizie e piaceri, corpi solitari e membra disciolte.
Un corpo “lacerato, diviso, ferito”, quando l’arte si fa “proiezione nella carne di una lacerazione psichica e mentale, e viceversa”, per dirla con Sanguineti.