Descrizione Opera / Biografia
A partire da una porzione di un quadro di Edward Hopper (Hotel by a Railroad) indagata attraverso l’uso dell’Ai, ne ho attualizzato il soggetto e la trama approdando ad una materia totalmente nuova ma in bilico; dove solitudine, quotidiano, confortevolezza e sorveglianza diventano un tutt’uno.
In questa nuova produzione rifletto su alcuni temi e movimenti del novecento introducendo lo ‘sguardo della macchina’ che fa da contrappunto ad un’atmosfera apparentemente calma, morbida e riposante. L’opera finale diventa il pretesto per creare un ‘sistema’ in cui linguaggi diversi (pittura, scultura, fotografia) si intersecano e si dipanano nello spazio e nel tempo, attraverso una visione frammentata, che procede per totali, primi piani e dettagli, come avviene nella grande tradizione tecnica del linguaggio cinematografico.
Perché il Novecento e perché l’utilizzo dell’Ai?
L’ai è un aspetto tecnico della contemporaneità, ma può essere utilizzato come strumento di analisi.
Attraverso le reti neurali possiamo sondare ‘cosa si sa’ rispetto a determinati argomenti, prelevando e sottolineando le risultanze più curiose o anomale, ma soprattutto sondare il rimosso, il dato latente. Se quindi L’Ai fosse una lente di ingrandimento per indagare sul passato, piuttosto che sul presente e sul futuro, facendo emergere aspetti sociali ignorati dalla storia e dalla critica.
Come rappresenterebbe un artista del novecento la realtà di oggi, alla luce degli apparati tecnologici che ci circondano? Sono partito da queste premesse per focalizzare la mia attenzione su un quadro di Edward Hopper e puntando lo sguardo verso gli aspetti sociali ed antropologici connessi alla sua pittura.
Nei quadri di Hopper la figura femminile è relegata a degli spazi liminali che interrogano la sua solitudine e contestualmente una primitiva sensualità. Come si sarebbe evoluta la sua pittura nella contemporaneità? Cosa rimarrebbe dei suoi personaggi? E se scoprissimo che quella sensualità oggi risulterebbe forzata e sintomo di gabbie sociali? Dopo diverse interrogazioni poste ad un’app di Intelligenza artificiale sono emersi dettagli curiosi; alcuni di essi indicano anche subalternità di genere. Aspetti che forse solo oggi riusciamo a comprendere con maggiore lucidità del passato.
Diego Randazzo (Milano 1984) vive tra Milano e Belluno. Consegue la maturità al Liceo Artistico di Brera e si laurea in Scienze dei Beni Culturali con una tesi in ‘Istituzioni di regia’ presso l’Università degli Studi di Milano. Il suo lavoro, articolato su diversi media, è concentrato su alcuni dei principali temi della cultura visuale: l’esperienza dell’immagine, con tutte le sue componenti emotive, evocative, antropologiche e sociali; i dispositivi del guardare, che diventano spesso, a loro volta oggetto/soggetto dell’opera; l’archeologia dei media, intesa come indagine sulle origini tecnologiche dello sguardo moderno e contemporaneo, lo sguardo della macchina, aggiornato sulle più recenti innovazioni (dall’algoritmo alle immagini operative); la dimensione del racconto; l’immersività o – al contrario – la straniazione prodotta dal rapporto con il medium. Sue opere son presenti in collezioni pubbliche e private. Finalista in svariati premi d’Arte contemporanea (The Gifer Festival, Premio Cramum, Arte Laguna, Combat Prize, Premio Ora, Arteam Cup) nel 2023 si aggiudica il primo premio dell’Yicca art prize e riceve la Menzione della Giura al Talent Prize di Insideart Magazine. Nel 2024 la sua installazione #Kids, tributo alla tragedia dei Piccoli Martiri di Gorla e opera permanente di Casa della Memoria di Milano, rientra nel progetto di mappatura dell’Arte Pubblica realizzata dal Mudec di Milano. Incomincia a lavorare sulle problematiche degli algoritmi già nel 2020 con il progetto ‘Immagini Simili’ – presso la Galleria ADD-art, per la cura di Bianca Trevisan – fino ad oggi (2025), attraverso lo studio dell’Ai come strumento di ricerca visiva ed indagine sociale.