Descrizione Opera / Biografia
Un palco di cervo emerge dall’oscurità, sospeso tra visione e realtà, come un’apparizione sacra.
L’immagine richiama la leggenda di Sant’Uberto: il cacciatore che, smarrito nella foresta, incontrò un cervo con una croce luminosa tra le corna. Un incontro che spezzò il tempo lineare, trasformando la sua esistenza da predatoria a contemplativa, da essere dominatore del mondo naturale a diventare suo custode.
Allo stesso modo, questa fotografia nasce da una pratica solitaria e notturna, dove il cammino nel buio non è solo fisico, ma interiore.
Nella poetica dell’autore, la notte non è assenza di luce: è spazio di passaggio, di ascolto, di tensione verso ciò che non si mostra. È lì, nell’oscurità del bosco, che il confine tra naturale e soprannaturale, tra conoscenza e visione, si fa più sottile.
Il medium fotografico diventa strumento di ricerca e di attesa: una forma di veglia, in cui l’immagine non cattura ma rivela, restituendo l’enigma che ha davanti.
Il palco, simbolo di forza e rinascita, si staglia come un memento mori luminoso: invita a sostare, a riconoscere la bellezza e la fragilità del limite, a lasciarsi attraversare da ciò che ci eccede.
L’immagine quindi diventa custode di un’apparizione: un frammento di mondo in cui il reale si trasfigura, aprendosi alla possibilità di un altrove.