L'ARTISTA Sezione Grafica
Vincenzo Merola
nato/a a: Campobasso
residenza di lavoro/studio: Campobasso (ITALIA)
iscritto/a dal 19 apr 2012
sito web: http://www.vincenzomerola.it/
Le opere
Biografia
Vincenzo Merola è nato nel 1979 a Campobasso, dove vive e lavora.
MOSTRE COLLETTIVE
2012
- "Il mondo della fine" (a cura di P-Ars - Andrea Roccioletti Studio) - Sala Espace - Torino
- "iGallery" (a cura di Tommaso Evangelista) - Officina Solare Gallery - Termoli (CB)
2011
- "Art Linking Project" (a cura di Silvia Valente) - Galleria Limiti inchiusi - Campobasso
- "Saturarte" (a cura di Mario Napoli) - Satura Art Gallery - Palazzo Stella - Genova
- "Macchi'art" (a cura di Tommaso Evangelista) - Edificio Scolastico - Macchia d'Isernia (IS)
- "11x11th" (a cura di Tommaso Ariemma) - Lucania Film Festival - Casa della Cultura - Pisticci (MT)
- "Arte elevata al comune" - Castello Ducale - Ceglie Messapica (BR)
- "Bastardi di razza" (a cura di Deborah Petroni, Rubens Fogacci, Davide Foschi e Valentina Mazza) - Galleria Wikiarte - Bologna
L'opera in concorso fa parte della serie "Travestimenti".
Surrogato d'identità, il travestimento è il comodo espediente attraverso cui l'uomo può rendersi riconoscibile o irriconoscibile nell'affrontare la vita quotidiana. Quando si traveste per farsi riconoscere, l'individuo si cuce addosso un'identità semplice e stereotipata grazie alla quale può mimetizzarsi nel vuoto che lo circonda e accettare il proprio vuoto interiore: questo tipo di travestimento assomiglia alle divise e alle uniformi, è centrifugo come il giallo di Kandinsky e allontana l'uomo dalla sua essenza. Quando si traveste per non farsi riconoscere, l'individuo cerca di riappropriarsi di un'identità complessa che lo distingua dal vuoto dilagante, isolandosi e esponendosi al pubblico ludibrio: questo tipo di travestimento è simile a quello di Pierrot o dei clown, è centripeto come il blu di Kandinsky e avvicina l'uomo alla propria essenza. Le combinazioni di individui-contenuto e di travestimenti-forme sono infinite e mutevoli. Da ogni incontro, irripetibile, nasce l'amalgama di universale e particolare che è alla base dell'essere surmoderno.
Ippolito (Il cacciatore)
"Ippolito è morto, ti dico. E questo lago che somiglia al cielo non sa nulla d'Ippolito. Se io non ci fossi, questa terra sarebbe ugualmente com'è. Pare un paese immaginato, veduto di là dalle nubi. Una volta – ero ancora ragazzo – pensai che dietro i monti di casa, lontano, dove il sole calava – bastava andare, andare sempre – sarei giunto al paese infantile del mattino, della caccia, del gioco perenne. Uno schiavo mi disse: 'Bada a quel che desideri, piccolo. Gli dèi lo concedono sempre'. Era questo. Non sapevo di volere la morte."
(Cesare Pavese, "Dialoghi con Leucò", Torino, Einaudi, 1947)
Attis (Il sacerdote)
"Dovrò dunque aggirarmi in queste selve remote da casa?
Dovrò rinunciare alla patria, ai beni, agli amici, ai genitori?
o rinunciare al foro, alla lotta, allo stadio, alla palestra?
Infelice oh infelice, piangi ancora e ancora, anima mia.
Quale aspetto, qual forma non ho io già assunto?"
(Gaio Valerio Catullo, "Carmina", 63, vv. 58-62 [trad. it. di Gioachino Chiarini, "Poesie", Milano, Frassinelli, 1996])
Gridoux (Il calzolaio)
"Sono calzolaio, io, non negoziante di calzature. Ne sutor ultra crepidam, come dicevano gli antichi. Lei capisce il latino? Usque non ascendam anch'io son pittore adios amigos amen e toc."
(Raymond Queneau, "Zazie dans le métro", Parigi, Gallimard, 1959 [trad. it. di Franco Fortini, "Zazie nel metró", Torino, Einaudi, 1960])