Luigi Antonio Speranza. Il nome è già importante e futuribile. Ma il suo futuro è nel presente. Nella capacità di scrivere la sua storia di artista con quella modestia che lo contraddistingue e che permette ai tanti amici ed estimatori di chiamarlo ”Giggi”.
La sua pittura è di racconto, semplice e onesta, senza tanti infingimenti intellettualistici. Le sue tele ci narrano di gesta medievali, di feste tradizionali, popolari: potrebbero, per naturale osmosi, far parte del bel canto dei cantori di piazza di antica memoria.
Ben diverse sono le composizioni scuoltoree. Con un prezioso e duttile filo sottile inventa forme nuove e, senza mai spezzarlo ma avvolgendolo continuamente su se stesso, riesce a meravigliarci facendo apparire, quasi imrpovvisamente, composzioni intrecciate, articolate, scandite da finissime e baluginanti luminosità metalliche, che raffigurano creature di un mondo sempre nuovo, che è il mondo dell’arte. E’ quel filo di ”Arianna” che lo salva, è quel filo di ”speranza” che lo attrae e lo conduce all’infinito.
Prof. Franco Bellardi