CONCEPT:
Eterotopia è un documentario psicogeografico che assembla-concatena frammenti audiovisivi prelevati da quattro non-luoghi (Hauptbahnhof e Sony Center di Berlino, Porta Susa di Torino, Unicredit Tower di Milano) considerati come campioni del villaggio globale surmoderno. Questi spazi sono a loro volta decostruiti e riconcatenati dai riflessi interni ad ogni inquadratura-architettura, come scheggie trasparenti di isole artificiali connesse ad ogni altro spazio: punti nodali di diffrazione tra reale e immaginario in cui diventa percepibile la virtualità dietro lo specchio-superficie. E’ l’eterotopia globale: l’ideologia dell’utopia surmoderna totalizzante in cui siamo immersi. Ad un tempo localizzati e deterritorializzati, contemporaneamente dentro e fuori, questi spazi si configurano come contro-spazi: nodi della rete globale, hub per la circolazione accelerata, provvisoria e precaria del capitale, delle merci, delle informazioni e degli individui. Sono ambienti standardizzati predisposti per uomini generici, spazi asettici e impersonali, luoghi di transito in cui individualità solitarie si intersecano rimanendo sconosciute, simili a tutti gli altri utenti-passeggeri-clienti. In questi non-luoghi si rifrangono le identità, le relazioni, le radici culturali, si abbandona l’opacità della corporeità per entrare nella dimensione fluida e panottica del virtuale, l’autostrada dell’informazione che bypassa i confini nazionali e territoriali.
STATEMENT:
”Fragments and flows” è una ricerca che impiega la fotografia e il video come strumenti di indagine conoscitiva mirata a problematizzare lo sguardo sul quotidiano e a testimoniare e documentare il divenire come principio primo di realtà. L’intento è quello di svelare il rumore quale elemento originario al di qua delle sovrastrutture concettuali e percettive (frammenti) che delimitano e arginano le molteplicità in divenire della materia (flussi). Non si tratta di creare, rappresentare, astrarre, ma più semplicemente di destrutturare e contemplare, liberare la percezione da aprioristici schemi di tipo pragmatico e utilitaristico attraverso una sorta di destrutturazione immanente. Fotografia e video, a differenza degli altri mezzi espressivi, non rappresentano l’immaginario o il reale ma operano prelievi immediati e materiali dalla realtà indifferenziata. La dimensione del movimento, e quindi del tempo, fa del video lo strumento più adatto ad indagare i flussi del reale, e in certi casi del virtuale. La fotografia invece opera dei tagli su questi stessi flussi, quindi risulta lo strumento ideale ad indagare i frammenti e, in particolare, l’operazione stessa del tagliare-frammentare che accomuna il funzionamento della macchina fotografica a quello della coscienza.
BIO:
Matteo Pasin (Treviso, 1986) è un fotografo e videoartista che vive e lavora a Milano. Nel 2011 si laurea all’Università Ca’ Foscari di Venezia in Filosofia. Studia Fotografia al Cfp Bauer di Milano concludendo gli studi con uno stage allo Studio Armin Linke a Berlino. Come membro del collettivo Dirtmor cura concerti, performance e proiezioni settimanali a Treviso e nel 2012 è selezionato per un anno di residenza alla Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia. Ha preso parte a numerosi festival e mostre collettive sia in Italia che all’estero, tra cui: Comunità Italia alla Triennale di Milano, Photomonth di Riga, Triennale der Photographie di Amburgo, Bronx Art Space di New York, Projects for the Arts di Washington, Premio Francesco Fabbri a Treviso, Mediterranea XVII alla Fabbrica del Vapore di Milano, Exposed Project allo Spazio Forma di Milano, This Age alla Galleria A+A di Venezia, Salon fur Kunstbuch 21er Haus di Vienna, Digital Arts Festival di Atene, Cynetart a Dresda, Zebra Film Festival di Berlino.