Descrizione Opera / Biografia
L’intimità del nostro quotidiano, una delle cose più autentiche che ci rimane, ma la tecnologia ed i suoi supporti hanno violato anche questa sfera. Che cosa succederebbe se, tutto ad un tratto, i dispositivi di sorveglianza che ci circondano puntassero l’obiettivo sulle nostre ’intime stanze’, a nostra insaputa. Nulla di più attuale, dalla ‘profilazione’ al riconoscimento facciale, siamo parte di questo meccanismo. Perciò l’immagine evocata in questo lavoro pittorico e fotografico - e reiterata ben 24 volte - non è altro che la rappresentazione simbolica ed estrema dello sconfinamento tecnologico nel nostro privato. Siamo anche oltre l’On life, il contesto ibrido codificato da Luciano Floridi nell’ormai lontano 2014. Il corpo nudo, disteso nell’intimità del proprio letto, è sorvegliato e spiato da una telecamera a circuito esterno, che si protende ‘stranamente’ da fuori verso l’interno, varcando la soglia di una finestra.
Quest’opera realizzata in cianopittura, della serie ‘Originali riproduzioni di nuovi mondi’, è nata a partire da diverse sessioni di interrogazioni condotte con l’Ai. In queste sessioni la generazione di errori - elementi discordanti che evadono dal contenuto originale - è sempre rilevante ed è protagonista delle forme e delle storie raccontate. La riflessione fondante è che, nonostante il progresso tecnologico punti sempre ad una maggiore sofisticazione dei suoi strumenti algoritmici, cercando livelli di dettaglio e verosimiglianza ‘ultraperfomante’, c’è sempre qualcosa che sfugge al controllo e al contesto, riconducendo il senso di tutto il processo alla vera natura umana. L’errore, l’elemento discordante, il caso, il neo, la macchia, sono aspetti propri della natura analogica dell’essere umano ed è del tutto evidente riscontrare queste peculiarità nei manufatti prodotti dall’uomo.
Nell’opera proposta il dettaglio discordante dell’immagine ribaltata (vedi immagine n.4), 1 sola su 24 immagini, vuole focalizzare l’attenzione proprio su questi temi. Il mondo dell’Ai è imbevuto di umanità, e conseguentemente, di tutti gli errori che porta con sé. Per questo il fenomeno va studiato e sondato in tutte le sue possibilità, perché è un tutt’uno con l’essere umano.
Diego Randazzo (Milano 1984) vive tra Milano e Belluno. Consegue la maturità al Liceo Artistico di Brera e si laurea in Scienze dei Beni Culturali con una tesi in ‘Istituzioni di regia’ presso l’Università degli Studi di Milano. Il suo lavoro, articolato su diversi media, è concentrato su alcuni dei principali temi della cultura visuale: l’esperienza dell’immagine, con tutte le sue componenti emotive, evocative, antropologiche e sociali; i dispositivi del guardare, che diventano spesso, a loro volta oggetto/soggetto dell’opera; l’archeologia dei media, intesa come indagine sulle origini tecnologiche dello sguardo moderno e contemporaneo, lo sguardo della macchina, aggiornato sul le più recenti innovazioni (dall’algoritmo alle immagini operative); la dimensione del racconto; l’immersività o – al contrario – la straniazione prodotta dal rapporto con il medium. Sue opere son presenti in collezioni pubbliche e private. Finalista in svariati premi d’Arte contemporanea (The Gifer Festival, 2 volte finalista al Premio Cramum, Arte Laguna, Combat Prize, Radar Mexico, Arteam Cup, Art Right Prize) è tra i vincitori del Premio Ora nel 2019. Sempre nel 2019 la sua installazione #Kids, tributo alla tragedia dei Piccoli Martiri di Gorla e a tutti i bambini vittime delle guerre, diventa opera permanente di Casa della Memoria di Milano. Nel 2023 l’opera ‘Flat – Perchè un algoritmo elimina l’uomo da una stanza piena di solitudine?‘ si aggiudica il primo premio dell’Yicca art prize e riceve la Menzione speciale della Giura al Talent Prize di Insideart Magazine.